×

Avviso

Lack of access rights - File 'http:/www.collatio.it/images/thumbnails/images/san_gregorio_magno_2-fill-222x269.jpg'

Santi, beati e testimoni

3 SETTEMBRE, San GREGORIO I, DETTO MAGNO Papa e dottore della Chiesa - Roma, 540 - 12 marzo 604

san gregorio magnoTutto inizia al colle Celio, vera oasi di pace e bellezza. Uno dei luoghi più affascinanti, sconosciuti e silenziosi di Roma. Disseminato di chiese bellissime, ricche di opere d’arte cariche di storia.


E’ qui che incontriamo la storia di uno dei personaggi più significativi del cristianesimo che riuscì a governare la Chiesa in uno dei suoi momenti più bui.
Richard Krautheimer, uno dei più grandi storici dell’arte di tutti i tempi, lo ha definito: «il primo papa dell’età di mezzo, il fondatore della
Roma medievale, colui che diede alla città la posizione che avrebbe conservato per parecchi secoli nell’ambito dell’Occidente; ma che fu anche l’ultimo papa dell’età paleocristiana, nata dalla cristianizzazione dell’antica Roma». Insomma, le geniali doti amministrative e diplomatiche, l’acume politico e il senso pratico di Gregorio fecero sì che i quattordici anni del suo pontificato segnassero una svolta decisiva nella storia di Roma, dell’Europa, della Chiesa. È uno dei dottori della Chiesa d’Occidente. Fu anche autore e legislatore nel campo del canto sacro, elaborando un sacramentario che porta il suo nome e costituisce il nucleo fondamentale del messale romano. Lasciò scritti di carattere pastorale, morale, omiletico che formarono intere generazioni cristiane.
Gregorio nasce a Roma verso il 540 nell’antichissima e ricca gens senatoriale degli Anicii. Crebbe in una delle tenute di famiglia sulle pendici occidentali del colle Celio, attraversata dal Clivus Scauri, l’antica strada che ancora oggi sale tra la chiesa barocca di San Gregorio e le sue tre cappelle e la chiesa dei Santi Giovanni e Paolo. La dimora, adiacente a quella che si crede fosse la grande biblioteca fondata a Roma da papa Agapito, sorgeva nel luogo ove oggi si erge la chiesa di San Gregorio. Papa Agapito, come Felice III, trisavolo di Gregorio, era suo parente.
Negli anni della sua giovinezza, Gregorio intraprese la carriera amministrativa e per un certo tempo, dopo la morte di suo padre Gordiano, divenne prefetto di Roma; qualche anno dopo decise di ritirarsi nella villa di famiglia proprio al Celio, che fu adibita a monastero.
Ben presto la quiete della vita monastica di Gregorio fu travolta da un fatto inatteso. Papa Pelagio lo nominò diacono e lo inviò a Costantinopoli quale apocrisario, oggi si direbbe nunzio apostolico, per favorire il superamento degli ultimi strascichi della controversia monofisita e soprattutto per ottenere l’appoggio dell’imperatore nello sforzo di contenere la pressione longobarda che minacciava Roma.
La missione di Gregorio durò pochi anni. Egli ottenne gli aiuti sperati contro i Longobardi, ma questi furono di così modesta entità che non furono sufficienti a revertire le condizioni in cui Roma e i Romani erano caduti. Papa Agapito quindi lo richiamò a Roma e lo nominò suo segretario per condividere con lui l’arduo compito di risollevare le tristissime condizioni in cui versava la città e le sue genti.
Gli anni tra il 589 e il 590  si rivelarono però ancora tragici. Le campagne furono messe a ferro e a fuoco dai Longobardi, e le rovinose inondazioni del Tevere distrussero i granai sulle rive del fiume e provocarono l’annegamento del bestiame. Tantissimi furono i Romani che morirono perciò per fame mentre la città versava in condizioni di estremo degrado con moltissime abitazioni crollate.
In questa situazione di caos sociale ed economico sulla città di Roma si abbattè anche un’epidemia di peste che uccise moltissimi cittadini tra cui anche papa Pelagio. A quel punto, il clero, il popolo e il senato furono unanimi dello scegliere quale successore al soglio di Pietro, proprio lui, Gregorio.
Egli cercò di resistere, tentando addirittura la fuga, ma non ci fu nulla da fare, alla fine dovette cedere e accettare il pesantissimo incarico. Correva l’anno 590.
Non c’era da perdere tempo, con l’Urbe ormai moribonda. Gregorio era consapevole che l’unica istituzione che avrebbe potuto fare fronte in qualche misura al diffondersi delle difficile condizioni era proprio la Chiesa, vista la totale inadempienza dei funzionari bizantini che all’epoca governavano la città.
Sotto il pontificato di Gregorio contadini, servi e tutti i poveri di Roma furono difesi dalla Chiesa da ogni interferenza governativa; i prodotti alimentari furono ammassati negli horrea ecclesiae, i magazzini di proprietà della Chiesa. Si acquistarono quantità massicce di grano nei possedimenti ecclesiastici sparsi per l’Italia, soprattutto in Sicilia. Furono istituite cucine mobili per assicurare minestre calde ai più poveri e agli infermi, poiché il Laterano, allora residenza papale, era Il motivo era dato dalla lontananza del Laterano, allora residenza papale, era distante dalle zone più povere e densamente abitate di Roma. E sempre per rafforzare l’azione di assistenza vennero costruite delle diaconie dove si distribuivano viveri e servizi.
Gregorio contestualmente attuò anche un’azione politica tesa a trovare accordi e portare quindi alla pace con i Longobardi. L’azione intentata da Gregorio vide prima la disapprovazione degli amministratori bizantini che risiedevano a Ravenna che lo accusavano sostanzialmente di tradimento, tanto che lo stesso imperatore di Costantinopoli, Maurizio, nel 593 dopo Cristo lo accusò di infedeltà all’Impero. All’accusa Gregorio rispose con una lettera molto esplicita: «…Mi è stato detto di essere stato ingannato da Ariulfo, e sono stato definito “sempliciotto”,… che significa indubbiamente che sono uno sciocco. E io stesso debbo confessare che avete ragione… Se non lo fossi, non avrei mai accettato di patire tutti i mali che ho sofferto qui per le spade dei Longobardi.
Voi non credete a quello che dico riguardo ad Ariulfo, riguardo al fatto che sarebbe disposto a passare dalla parte della Repubblica, accusandomi di dire menzogne. Dato che una delle responsabilità di un prete è di servire la verità, è un grave insulto essere accusati di menzogna. Sento, inoltre, che viene riposta più fiducia nelle asserzioni di Leone e Nordulfo, invece che alle mie… Ma quello che mi affligge è che la stessa tempra che mi accusa di falsità permette ai Longobardi di condurre giorno dopo giorno tutta l’Italia prigioniera sotto il loro giogo, e mentre nessuna fiducia è riposta nelle mie asserzioni, le forze del nemico crescono sempre di più…».
Le trattative con i Longobardi subirono quindi un’accelerazione e finalmente nel 598 arrivò la firma di un trattato di pace, che durò nella realtà solo tre anni durante i quali Gregorio cercò di estendere l’attività di assistenza alle provincie più distanti da Roma. Con l’aiuto della potente regina Teodolinda egli riuscì a ottenere anche la conversione dei Longobardi e da questo importante successo egli attuò un piano di cristianizzazione molto più vasto anche in paesi molto distanti. Ottenne ad esempio la conversione dei Visigoti di Spagna di re Recaredo I e della Britannia, inviando in quelle terre monaci benedettini tra cui Agostino e Lorenzo che divennero i primi due vescovi di Canterbury.
Tra gli innumerevoli scritti, oltre le Epistole attraverso le quali Gregorio coltivò relazioni con i patriarchi di Antiochia, Alessandria e Costantinopoli, da ricordare sono anche i Dialoghi con il diacono Pietro, di cui il II Libro è interamente dedicato alla figura di Benedetto da Norcia, unica testimonianza antica della vita del fondatore del monachesimo occidentale.
Gregorio riorganizzò anche la liturgia romana ordinando le fonti e scrivendo nuovi testi e si occupò anche di dare vita a una nuova forma di canto rituale da adottare durante la liturgia che comportò un ampliamento della Schola Cantorum. Questa nuova tipologia di canto viene ancora oggi indicata con il nome di canto gregoriano.

-------------------------------------------------------------------------------------------------

Tre anni li aveva passati al monastero del Celio. Poi, presi gli ordini sacri, era stato inviato da papa Pelagio II alla corte imperiale di Costantinopoli come legato pontificio. Fino a quando, nel 590, Gregorio, della nobile famiglia degli Anicii, era salito sul soglio di Pietro: i quattordici anni del suo pontificato avrebbero segnato una svolta decisiva nella storia di Roma e dell’Europa, tanto da meritare l’appellativo “Magno”.

Molte le biografie che ne narrano la santità e l’abilità politica e amministrativa. Ma ce n’è una di particolare interesse: quella redatta da un monaco greco residente a Roma e successivamente diffusa nell’Oriente cristiano. La breve biografia, scritta in greco, era poi tornata in Occidente e tradotta in latino, dopo aver reso popolarissimo il grande papa in tutte le chiese d’Oriente.

L’ignoto biografo riporta due aneddoti riguardanti Gregorio Magno, tra loro collegati: il primo è relativo al periodo che precede la salita al soglio pontificio, quando Gregorio era ancora abate del monastero di Sant’Andrea apostolo al Celio. Un giorno, si legge sulla biografia, mentre Gregorio stava scrivendo nel silenzio della sua cella, si era visto arrivare un povero che così gli si era rivolto: «Abbi pietà di me, servo di Dio altissimo; sono stato nocchiero di una nave, ma ho fatto naufragio e ho perso tutto, sia le cose degli altri che le mie». Una supplica alla quale Gregorio rispose prontamente, ordinando al suo segretario di portare al mendicante sei monete. E questi, dopo averle ricevute, se ne andò.

Lo stesso giorno l’uomo tornò a chiedere altro denaro. E Gregorio gli donò altre sei monete. Ma il povero si presentò una terza volta, chiedendo ancora denaro perché «quondam multa perdidi», «perché ho perso davvero molte cose» si era giustificato. Il santo monaco, senza battere ciglio, convocò di nuovo il segretario per consegnare al mendicante altre sei monete.

«Venerabile padre, credimi» aveva risposto l’attonito segretario, «non è rimasto nulla nella cassa (in vestiario) neppure una moneta». A quel punto Gregorio pensò bene di donargli la scodella d’argento con cui sua madre Silvia gli portava ogni giorno pochi legumi cotti al vapore. Il mendicante, allora, con le sue monete e la scodella d’argento, se ne andò, finalmente soddisfatto.

Il secondo episodio racconta di Gregorio ormai papa, il quale rispettando un’antica consuetudine dei pontefici romani, aveva voluto invitare dodici poveri a pranzo al Laterano, l’antica residenza papale. Quando gli ospiti si furono accomodati alla mensa, il papa ne contò tredici. Chiese al suo segretario per quale motivo ne avesse invitato uno in più. E quello, sconcertato, rispose di aver ubbidito alla lettera al suo ordine, tanto che a tavola c’erano esattamente dodici commensali. Il fatto è che a vedere il tredicesimo ospite era il solo Gregorio.

E mentre tutti mangiavano, il papa si mise ad osservare attentamente quella presenza misteriosa che se ne stava seduta sulla punta dello scranno. Papa Gregorio si accorse che costui assumeva diverse sembianze: a tratti appariva come un anziano e a tratti un adolescente. Quando finalmente tutti si alzarono da tavola a fine pasto, Gregorio salutò i dodici e trattenne il tredicesimo, lo condusse nella sua cella e lo supplicò di rivelargli il suo nome.

«Io sono quel povero che venne a trovarti nel monastero di Sant’Andrea apostolo», iniziò a dire costui, «al quale donasti le dodici monete e la scodella d’argento che ti aveva mandato Silvia tua mamma. Sappi questo: sin da quel giorno il Signore ti destinò a diventare presule della sua santa Chiesa per la quale Egli aveva donato il suo stesso sangue, e ad essere successore e vicario di Pietro principe degli apostoli. Io sono un angelo del Signore onnipotente. Il Signore mi inviò quel giorno da te per metterti alla prova e accertarsi se eri misericordioso davvero e non facevi elemosine soltanto per apparire misericordioso».

Quando Gregorio udì queste parole fu preso da grande timore: infatti fino a quel momento si era rapportato a lui come a un semplice uomo. «Non temere» lo rassicurò l’angelo «il Signore mi ha inviato a starti accanto fino a che tu rimarrai in questa vita e perciò qualsiasi cosa tu desideri dal Signore chiediglielo attraverso di me».

Allora il vescovo di Roma cadde con la faccia a terra e adorò il Signore dicendo: «Se per un piccolissimo gesto, quasi una sciocchezza, il Signore rivelò tale abbondanza della sua misericordia da inviarmi il suo angelo perché stesse sempre accanto a me, quale onore non meriteranno coloro che dimorano stabilmente nei comandamenti di Dio e operano sempre secondo giustizia? Non mente dunque colui che disse che la misericordia sarà esaltata tantissimo dal giudizio di Dio e che venera Dio chiunque si piega con accondiscendenza verso un povero».

È anche grazie a queste storie che la venerazione dei cristiani d’Oriente e d’Occidente per il santo vescovo di Roma si diffuse in maniera così straordinaria.

san gregorio magno 2
Immagine, Antonello da Messina,
San Gregorio Magno (1472-1473),
Palermo, Galleria Regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis


©  by ina Baglioni  su Fb