Special Pan-Orthodox Council Wall

Generale ma non ecumenico

grande concilio chiesa ortodossadi HYACINTHE DESTIVELLE

Dal 19 al 26 giugno si riunirà il Santo e grande concilio della Chiesa ortodossa, chiamato anche concilio panortodosso. L’ap ertura ufficiale sarà segnata da una concelebrazione panortodossa della divina liturgia eucaristica, nella cattedrale di San Minas a Heraklion, il giorno della Pentecoste, celebrata il 19 giugno secondo il calendario ortodosso. Previsto da oltre un secolo, preparato da più di cinquant’anni, si tratta di un evento storico non solo per la Chiesa ortodossa, ma anche per tutto il mondo cristiano. È evidente che occorre innanzitutto soffermarsi sul titolo di questa assemblea. La Chiesa ortodossa ha definito questo evento, nelle lingue diverse dal greco, come un concilio e non come un sinodo. Di fatto, benché i termini sinodo e concilio siano sinonimi, nell’ortodossia si è imposto l’uso di riservare la parola “sino do” a un consiglio episcopale permanente, il Santo sinodo, mentre il termine “concilio” designa generalmente l’assemblea di tutti i vescovi, a livello sia regionale sia universale. In questo caso si tratta proprio del secondo tipo di assemblea, vista la sua portata, poiché sarà un concilio della Chiesa ortodossa nel suo insieme. Il suo regolamento sarà particolare: le decisioni non proverranno dal voto di ogni vescovo, ma dal consenso delle Chiese rappresentate. Tuttavia la Chiesa ortodossa ha avuto cura di designare questo concilio come “santo e grande”, e non come “ecumenico”. Questa scelta, a quanto pare, è stata motivata da diverse ragioni. Anzitutto, per l’ortodossia, l’ecumenicità di un concilio non deriva in primo luogo dalla sua conformità a criteri canonici, legati alla convocazione o alla sua composizione, ma dalla sua recezione da parte dell’intera Chiesa: è dunque solo a posteriori che un concilio può essere riconosciuto come ecumenico. Inoltre il prossimo concilio, contrariamente a quelli del primo millennio, non affronterà questioni dogmatiche. E infine, e soprattutto, l’ortodossia ritiene che lo scisma del 1054 tra la Chiesa di Roma e quella di Costantinopoli impedisca che un concilio sia veramente ecumenico, in quanto manca la Chiesa d’occidente. È per questo che la Chiesa ortodossa ha potuto rimproverare alla Chiesa cattolica di chiamare ecumenici i suoi concili generali del secondo millennio. In tal senso, il titolo di Santo e grande concilio è ecumenico, proprio perché la Chiesa ortodossa non ha voluto, in assenza della Chiesa d’o ccidente, attribuirgli questo titolo. Soffermiamoci infine sul terzo elemento: un concilio “della Chiesa ortodossa” e non “delle Chiese ortodosse”. Esistono attualmente quattordici Chiese ortodosse di tradizione bizantina, caratterizzate dal fatto di riconoscere i sette concili ecumenici del primo millennio (come la Chiesa cattolica, ma contrariamente alle Chiese dette “ortodosse orientali” di tradizione siriaca, copta o armena, che riconoscono solo i primi tre concili ecumenici e perciò sono chiamate “precalcedonesi”). Queste Chiese ortodosse si definiscono “auto cefale” p erché ognuna è presieduta dal proprio primate, che ha il titolo di patriarca, di metropolita o di arcivescovo. Si definiscono anche “locali”, perché hanno giurisdizione su un territorio determinato. Queste Chiese hanno tutte un posto preciso nell’ordine (tàxis) delle Chiese, fissato nei dittici (preghiera per le Chiesa nella liturgia eucaristica). Pur essendo autocefale, queste Chiese ortodosse condividono tra loro la piena comunione nei sacramenti, l’unanimità nella stessa fede, l’osservanza delle stesse regole canoniche fondamentali: formano dunque una sola Chiesa ortodossa. Il prossimo concilio panortodosso avrà come obiettivo proprio quello di manifestare l’unità di queste Chiese nella loro conciliarità. Dalla separazione con Roma, il patriarcato di Costantinopoli occupa il primo posto come primus inter pares nell’ordine di queste Chiese, il che gli conferisce una certa precedenza nelle iniziative che riguardavano l’insieme delle Chiese sorelle, in particolare per quanto concerne la convocazione e la presidenza dei concili. Occorre infine dire qualche parola sul termine “panorto dosso”, utilizzato anche per designare il concilio, che riprende l’aggettivo usato per qualificare le conferenze inaugurate all’inizio degli anni Sessanta. Questo termine consente di comprendere meglio la particolarità e il carattere storico del prossimo evento. Di fatto, contrariamente a quanto a volte si dice, nel secondo millennio le Chiese ortodosse hanno tenuto molti concili interortodossi, per affrontare questioni che necessitavano di una risposta comune. Si possono citare in particolare i concili esicasti del XVI secolo sull’insegnamento di Gregorio Palamas, il concilio di Iaşi nel 1642 che approvò la professione di fede del metropolita Pietro Mogila, o più di recente, il concilio di Costantinopoli, nel 1872 (anch’esso chiamato “santo e grande”) che condannò l’etnofiletismo. Ma quei concili non riguardarono l’insieme delle Chiese ortodosse: erano certo interortodossi, ma non panortodossi. Il prossimo Santo e grande concilio, Dio volendo, riunirà invece l’insieme delle Chiese ortodosse. L’unità ortodossa naturalmente interessa molto i cattolici, poiché le difficoltà nei rapporti tra Chiese ortodosse costituiscono un serio ostacolo al dialogo teologico e anche alla testimonianza comune dei cattolici e degli ortodossi nel mondo. Il patriarca ecumenico Bartolomeo, nella sua enciclica dello scorso 20 marzo, riguardo alla convocazione del concilio, lo ha confermato in modo eloquente: «I tempi sono critici e l’unità della Chiesa deve costituire un esempio di unità per l’umanità lacerata da divisioni e conflitti”. Che questo concilio panortodosso possa dunque essere veramente “santo e grande».

© Osservatore Romano - 8 giugno 2016