Ferocia e propaganda

isis curdiBAGHDAD, 23. Un filmato che mostra ventuno prigionieri, in maggioranza peshmerga curdi catturati in Iraq, chiusi in gabbie e mostrati come bestie è stato diffuso ieri dal cosiddetto Stato islamico (Is). Le immagini sembrano essere state girate ad Hawija, un villaggio a cinquanta chilometri da Kirkuk, la città irachena da dove i miliziani sono stati costretti alla ritirata proprio dai curdi. Nella sua crudeltà il filmato è un evidente messaggio propagandistico che ricapitola gli orrori perpetrati finora dall’Is. Mentre scorrono i fotogrammi dei prigionieri vestiti con le tute arancione e rinchiusi in gabbie, un flashback inserisce l’immagine del pilota giordano bruciato vivo.
Nelle inquadrature finali, i prigionieri sono inginocchiati a terra con alle loro spalle i boia armati di pistola, mentre altri flashback mostrano i copti cristiani decapitati su una spiaggia libica. Il gruppo jihadista ha diffuso anche immagini di decine di ragazzini in tenuta militare in un campo di addestramento ad Al Raqqah, in Siria. Secondo diversi osservatori, l’Is cercherebbe di nascondere con la propaganda le sconfitte subìte sui vari fronti di guerra, in Iraq, in Siria e da ultimo in Libia con i raid egiziani contro le sue milizie. In Libia, intanto, è stato raggiunto ieri un accordo preliminare tra le milizie di Misurata e quelle di Zintan, per una tregua nell’ovest. Secondo il quotidiano algerino «El Khabar», l’accordo prevede la riapertura dei corridoi umanitari e uno scambio di prigionieri. Sul piano diplomatico, si punta in queste ore sul negoziato promosso dall’Onu tra il Governo internazionalmente riconosciuto di Tobruk e quello islamista di Tripoli. Secondo fonti di stampa, il prossimo incontro ci sarà questo giovedì in Marocco, ma l’inviato dell’Onu per la Libia, Bernardino León, non lo ha ancora confermato. Nel frattempo, il Governo di Damasco ha definito un «atto di guerra» l’incursione compiuta dall’e s e rc i to turco nel nord della Siria, in un’area controllata dall’Is. L’intervento era stato effettuato per recuperare le spoglie di Suleyman Shah, il nonno del fondatore dell’impero ottomano Osman Gazi, e per ricondurre in patria i militari turchi a guardia del mausoleo che, secondo un accordo del 1921, sarebbe proprietà dello Stato turco. Il ministro siriano della Riconciliazione nazionale Ali Haidar, ha detto che ci sarà «una risposta strategica a questa aggressione al territorio siriano». Più in generale, si sta consolidando la convinzione che il terrorismo dell’Is, nonostante la sua propaganda antioccidentale e antiebraica, costituisca una minaccia soprattutto per l’islam e per i Paesi arabi. Il presidente egiziano, Abdel Fattah El Sissi, ha sottolineato la necessità di «dare vita a una forza armata unitaria araba per affrontare le sfide future». Citato oggi dal quotidiano «Al Ahram», El Sissi ha detto che prima di compiere i raid in Libia sono state raccolte «informazioni dettagliate, perché noi non colpiamo i civili» e ha sottolineato che l’intervento aveva l’assenso di altri Paesi arabi. Proprio in Kuwait è arrivato ieri il nuovo segretario americano alla Difesa, Ashton Carter, per incontrare i circa quattromila uomini qui dislocati e pronti a intervenire per sostenere iracheni e curdi nell’offensiva per la riconquista di Mosul.

© Osservatore Romano - 23-24 febbraio 2015